Con la rilevante sentenza n. 22404 del 2018 le Sezioni Unite della Cassazione hanno risolto una delicata questione processuale  di particolare importanza sull’ammissibilità della trasformazione della domanda di natura contrattuale in quella – che presuppone un diverso titolo e che riveste carattere sussidiario – di ingiustificato arricchimento, propendendo per la soluzione positiva, così proseguendo nel percorso di superamento della tradizionale distinzione tra “mutatio” ed “emendato libelli” affermato in modo decisivo dalle stesse Sezioni unite con la precedente sentenza n. 12310 del 2015.

Storicamente, i contrasti giurisprudenziali rispetto a suddetto quesito riguardavano essenzialmente due pronunce, di segno opposto, e segnatamente le Sezioni Unite n. 14646, del 23.06.2009, e le Sezioni Unite. n. 26128 del 27.12.2010.

LA SOLUZIONE:

È ammissibile la domanda di arricchimento senza causa, proposta in via subordinata con la prima memoria ai sensi dell’art. 183, 6° co, c.p.c., nel corso del processo introdotto con domanda di adempimento contrattuale, qualora si riferisca alla stessa vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa (per incompatibilità) a quella inizialmente formulata.

LA CONCRETA VICENDA PROCESSUALE PORTATA ALL’ESAME DELLE SEZIONI UNITE:

Un ingegnere conveniva in giudizio un ente comunale chiedendo la sua condanna al pagamento del compenso per l’espletamento di un incarico di progettazione di un’opera pubblica.

Il Comune convenuto eccepiva la nullità della delibera di conferimento dell’incarico e, in conseguenza dell’adozione di tale strategia difensiva, l’attore, nel termine previsto per il deposito della memoria di cui all’art. 183, comma 6, n. 1) c.p.c., proponeva, ancorché in via subordinata al rigetto di quella formulata in via principale “ab origine”, domanda di indennizzo per arricchimento senza causa in ordine alla prestazione professionale comunque eseguita.

Il Tribunale adìto, accertato l’inadempimento del Comune committente, accoglieva la domanda di pagamento avanzata inizialmente dal professionista.

Senonché, a seguito dell’appello proposto dal Comune soccombente, la Corte territoriale riformava la decisione del giudice di primo grado e, previa dichiarazione di nullità della delibera di incarico attribuito all’appellato, rigettava la domanda di pagamento e, inoltre, dichiarava l’inammissibilità di quella successivamente formulata di indebito arricchimento qualificandola come “nuova”.

Gli eredi dell’appellato (nelle more deceduto) impugnavano per cassazione la sentenza di secondo grado deducendo due motivi: il primo dei quali relativo alla confutazione della ritenuta insussistenza dei requisiti di validità della delibera di assegnazione dell’incarico tecnico ed il secondo riguardante la dichiarata inammissibilità della subordinata domanda di indebito arricchimento.

L’ORDINANZA DI RIMESSIONE E LA QUESTIONE DI DIRITTO: 

Con ordinanza interlocutoria del 20 marzo 2017 la Seconda sezione, anche per effetto del nuovo corso della giurisprudenza di legittimità con riferimento all’attenuazione della differenza tra “mutatio” ed “emendatio” delle domande giudiziali, rilevava l’emergenza di una questione di massima di particolare importanza con riferimento alla possibile valutazione dell’ammissibilità della modificazione della domanda di adempimento in quella di indebito arricchimento purché proposta entro il termine preclusivo ultimo per l’assetto definitivo della domanda originaria, così come previsto dall’art. 183, comma 6, n. 1), c.p.c.

LA DECISIONE:

Rimessa dal Primo Presidente la questione alle S.U., queste hanno risolto la stessa nel senso dell’ammissibilità della individuata modificazione, sul presupposto che la successiva proposizione di una domanda di indebito arricchimento – a condizione che venga dedotta in giudizio entro il suddetto termine – non integra gli estremi di una domanda nuova, siccome comunque connessa con quella inizialmente avanzata.

Per giungere a tale esito le Sezioni unite hanno valorizzato il più recente indirizzo giurisprudenziale già tracciato dalle medesime Sezioni unite secondo cui la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, per ciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali.

In particolare, con la sentenza n. 12310 del 2015 – sulla quale si è essenzialmente basata quella qui oggetto di approfondimento, dando ad essa continuità – si stabilì che, così interpretata, la domanda modificata sarebbe stata ammissibile qualora avesse pur sempre riguardato la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’atto introduttivo o comunque fosse ad essa collegata o posta in alternativa. In tal senso si era aggiunto che non si rischiava una dilazione dei tempi processuali, atteso che la domanda modificata sostituisce la domanda iniziale e non si cumula ad essa, interviene nella fase iniziale del giudizio e non comporta tempi superiori a quelli già preventivati dal citato art. 183 c.p.c.

Neppure si sarebbe potuto ritenere che una simile interpretazione possa “sorprendere” la controparte ovvero mortificarne le potenzialità difensive perché “l’eventuale modifica avviene sempre in riferimento e connessione alla medesima vicenda sostanziale in relazione alla quale la parte è stata chiamata in giudizio, precisandosi che la parte deve essere consapevole che una simile modifica potrebbe intervenire, sicché non si trova rispetto ad essa come dinanzi alla domanda iniziale” e, infine, “alla suddetta parte è in ogni caso assegnato un congruo termine per potersi difendere e controdedurre anche sul piano probatorio”.

Uniformandosi a tali principi le Sezioni Unite – con la sentenza n. 22404 del 2018 – hanno riconfermato che i pregressi risultati raggiunti si ponevano in completa consonanza sia con l’esigenza di realizzare, al fine di una maggiore economia processuale ed una migliore giustizia sostanziale, la concentrazione nello stesso processo e dinanzi allo stesso giudice delle controversie aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale, sia, più in generale, con i valori funzionali del processo come progressivamente enucleati, in tempi più recenti, dalla dottrina e dalla giurisprudenza – soprattutto a Sezioni Unite – di legittimità.

Di conseguenza, con l’appena richiamata decisione, le Sezioni unite hanno ritenuto che – nel caso di specie sottoposto al loro vaglio – entrambe le domande formulate dal professionista (quella di adempimento contrattuale e quella successiva, ma oggetto di tempestiva modifica, di indebito arricchimento) si rivolgono, in effetti, alla medesima vicenda contrattuale prospettata e risultano orientate al raggiungimento dello stesso obiettivo, ovvero al conseguimento del medesimo bene sostanziale, identificantesi con il soddisfacimento di una pretesa di contenuto patrimoniale in relazione alla quale le due domande proposte sono da considerarsi legate da un rapporto di connessione “per incompatibilità” sia logica che normativa, poiché l’azione di ingiustificato arricchimento riveste carattere sussidiario e, pertanto, proprio questo nesso corrobora ancora maggiormente l’esigenza di ricorrere ad un giudizio contestuale e simultaneo.

Pertanto, le S.U. hanno respinto il primo motivo del ricorso per cassazione ma hanno accolto il secondo in relazione alla rilevata ammissibilità della subordinata domanda di indebito arricchimento comunque dedotta nel termine preclusivo previsto dal codice di rito per la precisazione e le modificazioni della domanda inziale, con la derivante cassazione con rinvio della sentenza impugnata.