La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza del 1° febbraio 2022 n. 3086, è tornata ad occuparsi dei poteri del CTU. La pronuncia in commento, all’esito di un complesso iter delibativo, giunge al superamento dell’orientamento inaugurato da una recente sentenza (Cass. 31886/2019) che, pur essendo molto persuasivo, è stato “abbandonato”. La Corte, nella sua più autorevole composizione, enuncia cinque principi di diritto in materia di CTU e di nullità che può colpire l’elaborato peritale.
Secondo i giudici di legittimità, il CTU può accertare i fatti inerenti all’oggetto della lite, al fine di rispondere al quesito, purché non si tratti dei fatti principali, giacché, in quest’ultimo caso, è onere delle parti allegarli a fondamento della domanda (o delle eccezioni). Al consulente tecnico d’ufficio non si applicano le stesse preclusioni istruttorie che incombono sulle parti, quindi, egli può acquisire tutti i documenti che ritiene necessari per rispondere al quesito formulato dal giudice, con l’unico limite di cui sopra (ossia i documenti non devono essere diretti a provare i fatti principali posti a fondamento della domanda o delle eccezioni).
Una particolare forma di CTU è quella contabile a cui il codice di rito dedica delle norme ad hoc. Nell’esame contabile, il consulente tecnico d’ufficio può acquisire tutti i documenti necessari, a prescindere dall’attività di allegazione delle parti, anche qualora siano diretti a provare i fatti principali (ART. 198, 2°co c.c.)
Per quanto riguarda il regime della nullità in relazione all’operato del perito, in estrema sintesi, la Corte afferma che ricorre:
- la nullità relativa, nel caso in cui il consulente accerti, in violazione del principio del contraddittorio, fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni;
- nullità assoluta, nel caso in cui il consulente accerti fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni, per violazione del principio della domanda e del principio dispositivo.
IL CASO: Un cliente di una banca e, successivamente, i suoi eredi convenivano in giudizio l’istituto di credito e la direttrice della filiale presso cui erano stati intrattenuti rapporti bancari per oltre un decennio. Gli eredi chiedevano la condanna dei convenuti al risarcimento del danno per le condotte distrattive operate durante tale periodo in danno del loro dante causa. Gli attori disconoscevano, in via preventiva, le sottoscrizioni apposte dal defunto sulle contabili attestanti i movimenti in uscita. La banca, nel costituirsi in giudizio, formulava istanza di verificazione (ex art. 216 c.p.c.) e il tribunale disponeva una CTU grafologica. L’istituto di credito rinunciava all’istanza di verificazione ma il CTU depositava ugualmente la perizia. Veniva, altresì, disposta una CTU contabile. In primo grado, il giudice condannava i convenuti al risarcimento del danno rimodulato in ragione del concorso di colpa di parte attrice. In sede di gravame, il danno veniva identificato in misura “pari alla somma di tutti i prelevamenti a firma falsa, esclusi quelli a firma vera detraendo peraltro i versamenti a firma falsa“. Nel far ciò, il giudice d’appello aveva considerato le risultanze della CTU grafologica, nonostante la rinuncia all’istanza di verificazione. Si giunge così in Cassazione ove la questione sui poteri del CTU e sulla forma di nullità che colpisce la perizia viene rimessa alle Sezioni Unite. Prima di passare alla disamina della questione principale, ci si sofferma brevemente sul valore di prova della scrittura privata disconosciuta.
LA SCRITTURA DISCONOSCIUTA COME PROVA “MUTA”: Gli eredi del defunto lamentano che, in sede di gravame, il danno sia stato identificato impiegando le risultanze della CTU grafologica, nonostante la rinuncia all’istanza di verificazione da parte della banca. La Cassazione ha ritenuto la doglianza fondata. L’efficacia probatoria di una scrittura privata è condizionata dal fatto che sia autenticata o sia giudizialmente riconosciuta. Se la parte contro cui è prodotta la disconosce, chi intende valersene deve proporre l’istanza di verificazione. Qualora tale istanza non venga sollevata, scatta la presunzione assoluta per cui la parte non intende valersi della citata scrittura come mezzo di prova (Cass. 27506/2017; Cass. 155/1994; Cass. 4094/1984). Quindi, la mancata proposizione dell’istanza di verificazione priva il documento disconosciuto di efficacia probatoria e preclude al giudice di valutarlo al fine del raggiungimento del proprio convincimento (Cass. 2347/1987). Secondo la Cassazione, un documento disconosciuto dalla parte contro cui è prodotto, qualora non sia fatto oggetto di istanza di verificazione, resta una “prova muta”. In buona sostanza, non può formare oggetto di alcun apprezzamento, pertanto, la pronuncia che si basi su un simile documento è sicuramente censurabile. Per quanto riguarda il disconoscimento preventivo della firma apposta su una scrittura privata, non ancora depositata in giudizio, secondo la giurisprudenza, è idoneo ad impedire il riconoscimento tacito (ex artt. 214 e 215 c.p.c.), «quando vi sia certezza del riferimento ad una scrittura determinata e conosciuta dalle parti e la stessa rappresenti un elemento probatorio rilevante nell’economia della controversia» (Cass. 6890/2021).
LA QUESTIONE RIMESSA ALLE S.U.: La questione rimessa al vaglio delle Sezioni Unite scaturisce da uno dei motivi di ricorso sollevati dagli eredi del defunto. I ricorrenti si dolgono del fatto che il CTU abbia allargato il campo della propria indagine anche ai documenti non disconosciuti e, pertanto, sia la perizia che la decisione – basata su di essa – sarebbero affette da nullità. Infatti, secondo la ricostruzione dei ricorrenti, l’ampliamento dell’indagine peritale, oltre i limiti del mandato assegnato dal giudice, cagiona la nullità della consulenza tecnica d’ufficio, per violazione del principio del contraddittorio. Inoltre, la sentenza che recepisce le valutazioni esorbitanti è nulla perché affetta dal vizio di ultrapetizione. Riassumendo, la perizia con cui il CTU abbia allargato l’ambito dell’indagine peritale è affetta da nullità? Su tale interrogativo si registrano indirizzi contrastanti, anche con riferimento alla natura giuridica della nullità (relativa, da eccepire nella prima difesa e sanabile, oppure nullità assoluta, rilevabile d’ufficio e insanabile)
GLI ORIENTAMENTI IN CONTRASTO:
a) L’orientamento tradizionale ritiene che tutte le ipotesi di nullità della CTU si traducano in una nullità relativa che la parte deve eccepire nella prima difesa utile (ex art. 157, 2°co, c.p.c.). Tra le ipotesi di nullità relativa rientrano anche 1) l’allargamento dell’indagine tecnica oltre i limiti stabiliti dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente, 2) l’avere tenuto indebitamente conto di documenti non ritualmente prodotti in causa. In caso di mancata eccezione di parte, la nullità è sanata. Tale orientamento era nato con riferimento alla ricorrente ipotesi in cui il perito ometteva di avvisare una delle parti dell’inizio delle operazioni peritali. Successivamente, la nullità relativa era stata estesa anche alle ipotesi in cui il CTU acquisiva documenti non prodotti dalle parti o ampliava l’oggetto della decisione.
b) Al summenzionato orientamento, si contrappone una recente decisione ( Cass. 31886/2019) secondo la quale lo svolgimento di indagini peritali al di fuori del thema decidendum cagiona la nullità assoluta della perizia, rilevabile d’ufficio e non sanabile con l’acquiescenza delle parti. Infatti, «le norme che stabiliscono preclusioni, assertive ed istruttorie, nel processo civile sono preordinate alla tutela di interessi generali, non derogabili dalle parti». Quindi, il perito non può indagare su fatti mai ritualmente allegati dalle parti né acquisire motu proprio la prova di fatti costitutivi delle domande o eccezioni di parte. Tale affermazione incontra una sola deroga: l’impossibilità per la parte di procurarsi la prova se non ricorrendo a cognizioni tecnico-scientifiche oppure l’accertamento dei fatti secondari ed accessori indispensabili per rispondere al quesito.
L’ordinanza di rimessione rileva come il primo orientamento sia nato anteriormente alla riforma processuale del 1990, che ha introdotto le barriere preclusive, pertanto, in quel contesto, la nullità non poteva che essere relativa, stante l’assenza di preclusioni assertive e asseverative. Le norme sulle preclusioni sono preordinate alla tutela di interessi generali e la loro violazione è sempre rilevabile d’ufficio, anche in caso di acquiescenza della parte legittimata a dolersene. Secondo la recente sentenza del 2019 (Cass. 31886/2019) è contraddittorio affermare che la violazione delle preclusioni, se avviene ad opera delle parti, cagioni la nullità assoluta – stante la lesione di interessi generali – mentre, se commessa dal CTU, cagioni la nullità relativa. Come vedremo, i supremi giudici non ritengono persuasivo tale recente indirizzo e tornano all’orientamento tradizionale.
IL RUOLO DEL CTU: La Suprema Corte, prima di soffermarsi sulla forma della nullità, ritiene necessario approfondire quali siano i poteri del consulente tecnico d’ufficio. La figura del CTU si è evoluta rispetto al codice del 1865 e, nel codice attuale, assume le vesti di un ausiliario di giustizia (artt. 61ss c.p.c.). Si tratta di un’investitura pubblicistica, infatti, al perito si estendono le garanzie di imparzialità che portano all’applicazione delle norme in materia di astensione e ricusazione previste per il giudice. Il giudicante ricorre al consulente quando la definizione del giudizio postula l’acquisizione di conoscenze specialistiche estranee alla sua scienza ufficiale. V’è una convergenza tra l’attività del consulente e quella del giudice. Le indagini che il consulente deve svolgere su mandato del giudice sono le stesse che il giudice svolgerebbe se fosse provvisto delle cognizioni tecniche richieste nel caso concreto. Inoltre, ai sensi dell’art. 194 c.p.c., il giudice e il consulente possono svolgere le indagini “insieme”, quindi, allorché il perito le svolga da “sé solo”, egli effettua le medesime indagini che il giudice avrebbe svolto insieme a lui. Tutto ciò premesso, le Sezioni Unite affermano che «il consulente tecnico, allorché, nella sua veste di ausiliario fornisca il proprio apporto di competenze specialistiche al giudice che ne ravvisi la necessità, coadiuvi questo nell’esercizio del suo ufficio e ne integri l’operato rendendo possibile la giustizia del caso concreto e scongiurando così il pericolo di una pronuncia di non liquet».
I POTERI DEL CTU: Alla luce del principio della domanda, deve ritenersi che il campo di indagine entro cui opera il CTU non possa estendersi ai cosiddetti “fatti avventizi” “ovvero ai fatti costitutivi della domanda e, oppostamente, ai fatti modificativi o estintivi che non siano stati oggetto dell’attività deduttiva delle parti”. Infatti, i poteri del consulente d’ufficio sono gli stessi che potrebbe esercitare il giudice se disponesse delle competenze tecnico-scientifiche necessariea decidere la causa. Pertanto, sia il giudice che il CTU sono soggetti al principio ne eat iudex ultra petita partium (il giudice non deve andare oltre le richieste delle parti). Anche nel caso della consulenza percipiente, la giurisprudenza ritiene che, ove il consulente sia chiamato ad accertare i fatti costitutivi, è pur sempre necessario che “la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto” (Cass. 3717/2019). A parziale temperamento di quanto sopra, le Sezioni Unite, affermano quanto segue. Nel caso in cui il consulente, nel corso delle proprie indagini, apprenda fatti impeditivi, modificativi ed estintivi, non dedotti dalla parte, il giudice può porli a fondamento della propria decisione. Si badi si fa riferimento alla rilevazione di tali fatti non già all’allegazione. Infatti, occorre distinguere tra:
- il potere di allegazione che spetta solo alla parte,
- e il potere di rilevazione può essere condiviso tra la parte e il giudice; infatti, quest’ultimo può rilevare fatti impeditivi, modificativi ed estintivi che emergono dagli atti di causa.
Pertanto, se non si può “contestare” al giudice la rilevazione dei fatti impeditivi, modificativi, estintivi, non si può neppure contestargli che di tali fatti egli abbia avuto contezza tramite le indagini svolte dal CTU. Pertanto, deve affermarsi che è immune da vizi la decisione che, recependo le risultanze peritali, ne valorizzi anche quei profili che evidenzino fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa, i quali, ancorché non dedotti dalla parte, siano stati accertati dal consulente nell’espletamento dell’incarico.
Inoltre, il limite all’indagine del CTU riguarda i fatti principali – che possono essere dedotti solo dalla parte – non già i fatti secondari, i quali sono privi di efficacia probatoria diretta ma funzionali alla dimostrazione dei fatti principali. Infatti, il consulente è legittimato ad acquisire tutti gli elementi necessari a rispondere al quesito sottoposto dal giudice, purché si tratti di fatti accessori che rientrano nell’ambito tecnico della consulenza, e “non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse” (Cass. 21926/2021). A tal proposito, i giudici di legittimità chiariscono che il CTU possa estendere la propria attività anche ai fatti pubblicamente consultabili benché non dedotti dalle parti.
IL REGIME DELLE PRECLUSIONI NON OPERA PER IL CTU: Le Sezioni Unite si discostano dalla decisione del 2019 (Cass. 31886/2019) che riteneva applicabili al CTU le preclusioni previste per le parti. Secondo tale orientamento, consentire al consulente di acquisire documenti dalle parti o dai terzi anche dopo lo spirare delle preclusioni istruttorie si tradurrebbe in un’interpretatio abrogans dell’art. 183, 6°co, c.p.c. La Suprema Corte intende prendere le distanze da tale indirizzo.
I giudici di legittimità ricordano che:
- il CTU è un ausiliario del giudice e gode di un’investitura pubblicistica nel nuovo codice di rito (a dispetto di quanto accadeva nel codice del 1865),
- le indagini che il consulente deve espletare ex art. 194 c.p.c. sono le stesse che compirebbe il giudice se fosse dotato delle necessarie cognizioni tecniche.
Da quanto sopra deriva che i poteri del consulente tecnico, nello svolgimento del suo incarico, derivano direttamente dal giudice che lo ha nominato e, quindi, sono esercitabili – sotto il profilo istruttorio – negli stessi limiti in cui sarebbero esercitabili dal giudice.
Pertanto, per il consulente tecnico d’ufficio non operano le preclusioni che operano per le parti. Il consulente gode dei medesimi poteri di accertamento del giudice e quest’ultimo può procedere d’ufficio anche nel caso in cui le parti siano incorse nelle preclusioni (in tal senso, si vedano l’artt. 118-213-2711 c.c. Infatti, il giudice non subisce alcuna preclusione ben potendo esercitare poteri istruttori d’ufficio (ex art. 183, 8°co c.p.c.): «sicché anche il consulente potrà procedere, nei limiti visti, a quegli approfondimenti istruttori che, prescindendo da ogni iniziativa di parte, nel segno caratterizzante della indispensabilità, appaiono necessari al fine di rispondere ai quesiti oggetto dell’interrogazione giudiziale».
IL CONSULENTE CONTABILE: I giudici di legittimità si soffermano sulla CTU contabile. A tal fine citano una disposizione del Codice della Proprietà industriale che dispone quanto segue: “il consulente tecnico d’ufficio può ricevere i documenti inerenti ai quesiti posti dal giudice anche se non ancora prodotti in causa, rendendoli noti a tutte le parti” (art. 121 c. 5 d. lgs. 30/2005). Parimenti, l’art. 198, 2°co, c.c., in materia di esame contabile, dispone che “previo consenso di tutte, può esaminare anche documenti e registri non prodotti in causa. Di essi tuttavia senza il consenso di tutte le parti non può fare menzione nei processi verbali o nella relazione di cui all’art. 1958”.
La giurisprudenza interpreta l’art. 198 c. 2 c.p.c. nel senso che il consulente possa procedere all’esame dei documenti non prodotti a patto che si tratti di documenti accessori, utili a consentire una risposta più esauriente al quesito formulato dal giudice (Cass. 19427/2017; Cass. 8403/2016; Cass. 24549/2010). Tale interpretazione nasce dal convincimento che alla consulenza tecnica sia applicabile il regime delle preclusioni.
Le Sezioni Unite non condividono tale indirizzo in quanto si traduce in un’interpretazione abrogante della norma che ne mortifica la ratio. Infatti, in materie altamente tecniche, è giustificabile un apporto peritale più incisivo. L’art. 198 c.p.c. fa riferimento a documenti non prodotti, quindi, chiaramente, non sottostà al regime preclusivo. Inoltre, se come regola generale il consulente può procedere ad approfondimenti istruttori e ad acquisire i documenti con riferimento ai fatti accessori, ritenere che l’art. 198 c. 2 c.p.c. ribadisca tale concetto è privo di senso. In tal modo opinando, la norma perderebbe qualsiasi originalità, perché finirebbe per prevedere che il consulente contabile possa fare quello che fa qualsiasi altro consulente. Secondo la Corte, bisogna salvaguardare la specialità dell’art. 198 c. 2 c.p.c. dettata dalle elevate difficoltà tecniche della materia su cui il giudice deve pronunciarsi. In ragione di ciò, il consulente contabile può esaminare i documenti non prodotti in giudizio, benché riguardino fatti principali che dovrebbero essere provati per iniziativa delle parti.
ACQUISIZIONE DI UN DOCOUMENTO NON PRODOTTO E VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO: Tutto ciò premesso, la Corte passa ad esaminare il seguente quesito: se l’acquisizione del documento rinvenuto dal CTU nel corso delle operazioni peritali non ritualmente introdotto nel giudizio dalle parti dia luogo ad una nullità relativa, sanabile se non eccepita nella prima difesa utile (ex art. 157 c. 2 c.p.c.), oppure ad una nullità assoluta rilevabile ex officio. Le Sezioni Unite ritengono la tesi della nullità assoluta non condivisibile, per come argomentata dalla pronuncia del 2019. Al contrario, viene confermato l’orientamento tradizionale a mente del quale «i vizi che infirmano l’operato del CTU sono fonte di nullità relativa e rifluiscono tutti invariabilmente sotto il dettato dell’art. 157 c. 2 c.p.c.». Si tratta di una forma di nullità che viene sanata se non è eccepita nella prima difesa utile. Secondo i giudici, la condotta del consulente che utilizzi documenti non prodotti dalle parti senza previamente attivare il confronto con esse non lede un interesse del processo, ma un diritto disponibile delle parti, la cui violazione può essere fatta valere ex art. 157 c. 2 c.p.c. Per contro, laddove il consulente violi il principio della domanda e il principio dispositivo – limiti insormontabili anche per il giudice – non può che ravvisarsi una nullità assoluta e non sanabile per acquiescenza delle parti. Pertanto, quando il perito indaghi su temi estranei all’oggetto della domanda e ritenga fondata la pretesa dell’attore sulla base di fatti diversi da quelli allegati introduttivamente dallo stesso, supera i limiti della domanda e ne scaturisce una nullità assoluta che è rilevabile d’ufficio o che può farsi valere quale motivo di impugnazione (ex art. 161 c.p.c.).
Riassumendo, per le Sezioni Unite ricorre:
- la nullità relativa, nel caso in cui il consulente accerti, in violazione del principio del contraddittorio, fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni,
- nullità assoluta, nel caso in cui il consulente accerti fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni, per violazione del principio della domanda ed il principio dispositivo.
CONCLUSIONI: All’esito di un complesso iter delibativo, articolato in ben 52 pagine, le Sezioni Unite enunciano i seguenti principi di diritto:
- “In materia di consulenza tecnica d’ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all’oggetto della lite il cui accertamento si rende necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti fatti principali rilevabili d’ufficio”.
- “In materia di consulenza tecnica d’ufficio il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a carico delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che essi non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e, salvo quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio”.
- “In materia di esame contabile ai sensi dell’art. 198 c.p.c., il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se essi siano diretti a provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni”.
- “In materia di consulenza tecnica d’ufficio, l’accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, o l’acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso”
- “In materia di consulenza tecnica d’ufficio, l’accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, che il consulente nominato dal giudice accerti nel rispondere ai quesiti sottopostigli dal giudice viola il principio della domanda ed il principio dispositivo ed è fonte di nullità assoluta rilevabile d’ufficio o, in difetto, di motivo i impugnazione da farsi a valere ai sensi dell’art. 161 c.p.c.”.