Lo scorso 8 marzo, è entrata in vigore la legge Gelli Bianco che ha apportato una significativa riforma alla disciplina della responsabilità medica sia in ambito civile che penale.
Prima di entrare nel merito delle novità legislative di neo introduzione, è opportuno esaminare il quadro di riferimento previgente, sia sul piano normativo che giurisprudenziale.
La responsabilità medica PRIMA della legge Gelli
Per quanto attiene al profilo civilistico, dottrina e giurisprudenza hanno da sempre inquadrato la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria per i danni derivanti da malpractice nell’alveo contrattuale o da contatto sociale qualificato. Un regime, questo, decisamente favorevole al paziente sia sul piano dell’onere della prova che sul profilo della prescrizione.
Nello specifico: il paziente che agiva per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento doveva dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto era gravato dall’onere della prova del fatto estintivo, costituito dall’avvenuto adempimento.
Il danneggiato che agiva in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria era, quindi, tenuto a provare il contratto e/o il contatto con il medico ed allegare l’inadempimento di quest’ultimo, consistente nell’aggravamento della patologia o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento, restando a carico dell’obbligato – il sanitario e l’ente presso cui operava – la prova che la prestazione fosse stata eseguita in modo diligente e che gli esiti peggiorativi fossero stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile.
Vertendosi in tema di responsabilità contrattuale costituiva onere del medico, per evitare la condanna, dimostrare che non vi fosse stato inadempimento da parte sua, ovvero, se inadempimento vi fosse stato, provare che l’insuccesso dell’intervento fosse dipeso da fattori indipendenti dalla propria volontà. Tale prova era fornita dimostrando di aver osservato, nell’esecuzione della prestazione sanitaria, la diligenza normalmente esigibile da un medico in possesso del medesimo grado di specializzazione.
La struttura sanitaria era anch’essa soggetta alla responsabilità contrattuale, la cui fonte risiedeva, secondo la Suprema Corte di Cassazione, nel cd. “contratto atipico di spedalità“.
Alla luce di quanto sinora esposto, ne discendeva un impianto a tutela del paziente danneggiato che, per un verso, avrebbe avuto più chances per soddisfare la propria pretesa risarcitoria, vista la prescrizione decennale e, inoltre, avrebbe dovuto limitarsi ad allegare l’inadempimento, dimostrando che l’intervento del sanitario non fosse stato eseguito a regola d’arte, senza osservare i canoni dell’arte medica.
La responsabilità del sanitario DOPO la riforma
Attraverso la legge Gelli Bianco si è deciso di ricondurre la responsabilità del sanitario da malpractice nell’ambito di quella extra contrattuale con considerevoli ripercussioni sia in tema di prescrizione che sull’onere probatorio, mentre la responsabilità della struttura sanitaria resta nell’alveo della responsabilità contrattuale.
Il paziente che lamenti un danno derivante da un’attività terapeutica e chirurgica non eseguita diligentemente e, che non abbia avuto esito fausto, avrà a disposizione appena cinque anni per azionare tempestivamente il proprio diritto. Peraltro, lo stesso sarà tenuto non solo ad allegare, ma provare il fatto illecito, il danno, l’elemento soggettivo ed il nesso eziologico tra condotta ed evento.